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HOMECULTURA E STILI DI VITALE INTERVISTE DI AUSER LOMBARDIA

LE INTERVISTE DI AUSER LOMBARDIA

OSCAR DI MONTIGNY: LA GRATITUDINE MOTORE DELL’ECONOMIA, DELLA "COOPETITION" E DELLA RI-EVOLUZIONE
Ai volontari Auser capita spesso di sentirsi dire “Grazie” e quella parola è la migliore ricompensa per il loro impegno. Cosa succederebbe se la gratitudine andasse molto oltre la buona educazione e venisse consapevolmente messa al centro delle dinamiche quotidiane, persino dell’economia? Ne parliamo con Oscar Di Montigny, autore di “Gratitudine” e persona molto concreta, dato che è direttore delle aree Marketing, Innovazione ed Educazione di un importante istituto bancario. 
“È curioso che tutti ritengano la gratitudine un tema particolare, mentre dovrebbe essere di assoluta ordinarietà. La gratitudine è responsabilità, consapevolezza, considerazione, ascolto e silenzio, perché implica uno spazio che dai all’altro oltre che a te stesso. Se ci pensiamo bene, grazie è una parola che ricorre poco: nella media, nessuno ci insegna a dire grazie per essere vivi la mattina quando ci svegliamo e nessuno ci spiega quanto sia ristrutturante, prima di addormentarci, ringraziare di ciò che abbiamo avuto e abbiamo, tetto sulla testa incluso. Essere grati è utile. Attenzione, utile non è utilitaristico ma filosofico: è buono, bello, vero e giusto solo ciò che è utile al contempo per te e per tutti. Essere grato alla vita cambia letteralmente il modo di pensare, plasma il tuo cervello e lo costringe a percorrere dei cammini neurologici che passano da quelle nuove tappe, attraendo anche dagli altri un’energia che risuona. Certo, è più complesso per chi pensa che gli indicatori per essere grati siano solo benessere, salute e ricchezza”. 
Che emozioni porta con sé la gratitudine, sia quando la provi verso qualcuno sia quando qualcuno ti è grato per qualcosa?
“Certamente gioia e, fondamentale, consapevolezza: la gratitudine può essere considerata come ciò che il mondo ti restituisce e che ti dà un’immagine di te. È un valore, più che un sentimento, e comprende i valori sociali più noti e diffusi, come l’amore nella sfera privata e il rispetto nella sfera pubblica. Noi desideriamo sempre essere amati, anche per la nostra autorevolezza e per la nostra competenza. La gratitudine ha una sfumatura diversa, richiede consapevolezza e ti viene restituita a fronte di un atto consapevole. Non è detto, infatti, che i miei figli mi siano grati solo perché li ho amati... In effetti, sono di più le persone che ti amano rispetto a quelle che ti sono grate. Un ambiente in cui circola gratitudine si riconosce dall’armonia”.
Dal punto di vista delle neuroscienze, il nostro dialogo interno – cioè ciò che pensiamo, il modo in cui parliamo con noi stessi - ha effetti importanti sulla chimica che interviene nel nostro organismo: basta pensare a qualcosa per cui essere grati per attivare endorfine, serotonina, ossitocina e per attivare il rilascio di dopamina. La gratitudine fa stare meglio anche fisicamente, ci sono numerosi studi a riguardo, e crea dipendenza virtuosa. L’hai sperimentato, o comunque l’hai verificato?
“Se inizio a comportarmi in un certo modo per stare bene e far stare bene gli altri, è un atto di apparente egoismo fatto per il bene comune. È la differenza tra produrre ricchezza e generare prosperità: la ricchezza può essere del singolo, ma se non ne è schiavo e la immette nel sistema per generare prosperità, allora soddisfa tutti. Per capirci: se tu abiti in una villa bellissima costruita sopra alla discarca d’amianto di cui nella totale illegalità sei custode, devi controllarla e possederla al punto da non capire che ti uccide. Consapevolezza!”. 
Secondo te l’esperienza del Covid-19 ha aiutato a riconoscere con consapevolezza, come elemento attivatore del circuito di ricompensa della gratitudine, le cose che possono sembrarci scontate e forse addirittura prive di valore, come una doccia calda, una caramella gustata sotto la mascherina, un “come stai” detto perché interessa davvero saperlo… 
“Certamente sì, la domanda è quanto si sia fatto tesoro dell’esperienza. È stata troppo breve per segnare un percorso neurologico. Dobbiamo tornare all’atto di volontà. Non hai più la libertà di dire “non so di cosa tu stia parlando”, ogni volta che incontri un altro essere umano devi scegliere se considerarlo, salutarlo, amarlo, essergli grato”. 
Perché bisogna essere grati di tutto, anche dei momenti più faticosi?
“Il Dalai Lama dice che è importante come interagisci con ciò che accade. Tu diventi l’accadimento e decidi come viverlo, altrimenti quella condizione diventa un condizionamento e al riproporsi di quell’accadimento ripeterai uno schema, che ti priva della bellezza della vita. La vita, neurologicamente e biologicamente, deperisce: come guadagnarsi l’eternità? Generando gratitudine. Rumi dice che vivremo in eterno nella parte di noi che abbiamo donato agli altri. A me interessa condividere col mondo non tanto le risposte, ma le domande. Non do mai la ricetta, nei miei discorsi pubblici. Io domani cosa devo fare? Decidi tu. Scegli tu da che parte stare del fiume. Io condivido un percorso”. 
Questo ci riporta al tema fondamentale della responsabilità personale.
“Sì, altrimenti ricadiamo sul singolo che si deresponsabilizza per delegare ad altri, dalla società alla sfortuna, le proprie responsabilità. La vita fa delle domande, tu devi dare le risposte. La logica è semplice: se ti comporti in un certo modo accadono delle cose, altrimenti ne accadono delle altre. Sono processi meccanici, devi essere responsabile delle tue scelte”. 
Tu sei una persona che conosce bene la concretezza, ti occupi di economia e alta finanza: ci spieghi come si legano economia e gratitudine? È una visione simile al paradigma win-win?
“Assolutamente sì, il mio maestro Patrizio Paoletti dice “Vita tua, vita mia”. Economia e gratitudine sono strettamente correlate: sono la memoria di un beneficio ricevuto e la prontezza a dimostrarlo e nel marketing corrispondono a brand awareness e al passaparola. È come quando conosci una persona a cui sei grato e questa ricompare dopo 30 anni, sei felice di rivederlo perché la gratitudine è lealtà e fedeltà per sempre. È una leva fortissima da attivare, con buona pace del neuromarketing che ti porta a comprare qualcosa di cui non ti interessa niente. I governanti per primi dovrebbero vivere il proprio ruolo come il più alto atto caritatevole che un essere umano possa fare e dovrebbero studiare, essere preparati per essere veramente utili. Non è una missione, è una vocazione. Il fatto di essere uomini che vivono per il bene implica anche che sarebbe consentito loro di sbagliare, mi spiego meglio: se sbagli qualcosa convinto di essere in un “sano giusto”, impara dagli errori e correggi”. 
C’è un concetto nuovo che hai coniato e che vale un approfondimento: nel Terzo Settore si parla di cooperativismo, tu hai introdotto la COOPETITION: di cosa si tratta? 
“È una crasi tra competizione e cooperazione, che significa: manteniamo la forza propulsiva della competition e orientiamola alla collaboration. Giochiamo a competere per un interesse comune, insomma”.
Come, secondo te, un’associazione come Auser potrebbe contribuire alla rivoluzione, o meglio alla ri-evoluzione grata che hai prospettato?
“State già contribuendo! È bello perché vivete la vostra azione come vocazione e non come un passatempo o perché volete sentirvi delle persone perbene”. 
GABRIELLA GREISON: LA FISICA ACCESSIBILE A TUTTI... A PARTIRE DAL TEATRO
L’arte sa tradurre in un linguaggio comprensibile e intuitivo anche concetti estremamente complessi. 
Gabriella Greison (http://greisonanatomy.com), ad esempio, ha scelto il teatro per far appassionare alla fisica anche coloro che magari a scuola mal sopportavano le materie scientifiche: con i suoi monologhi sta facendo registrare in tutta Italia numerosi sold out agli spettacoli (le date del tour di “1927 Monologo Quantistico” o di dove trovarla live nei suoi incontri sulle donne donne scienza o STEM si trovano sul suo sito), e con il suo primo romanzo scientifico “L'incredibile cena dei fisici quantistici” (edizioni Salani) è oltre 30 mila copie e la sesta ristampa. 
La Greison, che è anche giornalista e scrittrice, era già conosciuta al pubblico per le sue accattivanti “Pillole di Fisica”, servizi scientifici di cinque minuti realizzati per RaiNews24 con un punto di vista inedito.
 
Mi sono laureata in fisica a Milano, poi ho frequentato l’École Polytechnique a Parigi; mentre questa passione per la fisica mi portava a cercare risposte alle mie grandi domande, mi sono sempre più incuriosita riguardo alle biografie dei giganti, vale a dire Einstein, Schrödinger, Heisenberg, Marie Curie… Ispirata dalla foto scattata alla fine dell’ottobre 1927 al 5° Congresso Solvay, che mi ha sempre affascinata perché riunisce i 29 fisici che diedero vita alla fisica quantistica, sono andata a Bruxelles e ho rifatto il percorso degli scienziati prima di quella famosa foto. Perché era nata la fisica quantistica, che cosa aveva spinto quelle persone a cambiare le cose e farsi pure prendere per matti… Era un nuovo punto di vista per osservare la quotidianità. Ho interpretato i partecipanti a quel congresso in “1927, Monologo Quantistico” caratterizzandoli con i loro tic e le loro manie. A me piace un sacco capire il lato umano, analizzare i cambiamenti e le lotte che li accompagnano: analizzare le vite dei grandissimi ci aiuta anche a cogliere il senso delle nostre piccole battaglie di ogni giorno”. 

Lei dice che il lato umanistico è più comprensibile, ma è l’unione tra umanistico e scientifico che ha funzionato: dove può spingersi il mix tra umanistico e scientifico?
Una persona attenta, una fisica come me che è abituata a interrogarsi su ogni cosa, si accorge che il contesto sta cambiando: anzitutto è possibile raccontare la fisica in modo semplice, coinvolgendo un pubblico che in precedenza si sentiva pregiudizialmente escluso da certi argomenti. I bambini sono curiosi, gli adulti hanno sete di sapere a ogni età. Pensiamo anche al successo di film come “Interstellar”, oppure di serie tv come “The Big Bang Theory”. I fisici, del resto, credo abbiano una naturale propensione al teatro perché hanno una visione astratta delle cose, così come il teatro offre un’apertura su un altro mondo. I fisici hanno un loro mondo interiore alternativo, direi. Ecco perché mi piace raccontare le loro vite, sono molto motivazionali e ispirano il pubblico che assiste ai miei spettacoli tanto quanto hanno ispirato me”.

Il periodo storico attuale è particolarmente favorevole alla proposta di nuovi esempi virtuosi, in particolare sulle donne che hanno fatto qualcosa di grande. Lei ha scritto il libro “Sei donne che hanno cambiato il mondo” (Bollati Boringhieri editore) e “Superdonne!” (editore Salani), che sono stati dei veri successi editoriali. È il momento giusto per puntare su diversi linguaggi e modelli culturali?
Certo! Marie Curie, ad esempio, non ha vissuto una vita da principessa: era una secchiona e non una miracolata con superpoteri. Il suo dono speciale era la dedizione al lavoro. Ho “isolato” Marie Curie dal mio libro “Sei donne che hanno cambiato il mondo” per festeggiarla con un monologo al teatro alla Sala Umberto a Roma lo scorso 7 novembre, una data irripetibile, che ha avuto a teatro quasi 500 persone, tutte entusiaste e tantissime recensioni sui media, una cosa incredibile! Marie Curie è importante come donna e come scienziata per tutti noi. Si chiama “Due donne ai Raggi X - Marie Curie e Hedy Lamarr, ve le racconto io”. Marie Curie 'ho raccontata in maniera inedita, grazie alle ricerche affannose che ho fatto per anni su lei. Cercando nelle sue paure riuscivo a comprendere le mie. E così l'ho raccontata per il suo aspetto umano. Da piccola Marie ha subito episodi di bullismo ma ha voluto a tutti i costi andare avanti a studiare, la stampa l’ha attaccata cinque anni dopo la morte del marito lanciando sospetti infamanti… una donna geniale come lei ha affrontato un sacco di periodi bui. Ha vissuto cambiamenti lei stessa e i cambiamenti mi affascinano tantissimo. A teatro esprimo tutto questo con un modo di raccontare che è diverso da quello abituale, ci metto la mia passione e il bello è che la gente lo capisce e si entusiasma. La passione è contagiosa: almeno venti ragazze che mi avevano vista a teatro hanno scritto la tesina di maturità su un argomento di fisica, altre mi hanno detto di essersi iscritte alla facoltà di fisica dopo aver assistito al mio spettacolo o aver letto un mio libro. Riesco a far venire un dubbio in più, a stimolare la curiosità: è una bella sensazione”. 

In un’intervista le chiesero di scegliere tre oggetti indispensabili e selezionò la lampadina, (l’Eureka dell’Archimede disneyano), la penna (il suo essere giornalista e scrittrice) e la fotografia che definisce un’ossessione, quella del 1927 di cui ci ha parlato prima. Lei cosa ha inventato, considerando anche le sperimentazioni nei format? 
Creo tutto da zero, le “Pillole di Fisica” sono totalmente nuove. Io sono una fisica, non sono una divulgatrice. Racconto quello che so, perché l'ho studiato per anni e anni. E questo crea sicurezza e credibilità. Non sono un'industria come i grandi divulgatori conosciuti in Italia, ma sono io, una donna che ha studiato fisica da ragazza e ora la racconta. L’ho visto fare negli Stati Uniti e in Francia, sono cresciuta guardando il lavoro di colleghi più bravi di me in Gran Bretagna, sono loro che mi danno consigli, e con cui mi confronto: i fisici migliori riescono a dare punti di vista diversi e innovativi in un gruppo di lavoro che si occupa di altre materie. Mi mandano sempre nuovi stimoli, nuove energie, e soprattutto tanto materiale da usare per i miei romanzi e per i miei monologhi. Negli Stati Uniti c’è questa voglia di contaminazione tra competenze ed è frequente avere un laureato in fisica in qualsiasi team di ricerca, non necessariamente di ambito scientifico; da noi questa modalità d’approccio analitica arriverà chissà tra quanto. Intanto, dal 20 al 28 marzo 2018 mi lancerò in una nuova sfida, la prima edizione del festival teatrale “W la Fisica” al Teatro Menotti di Milano. Ho aperto un crowdfunding per sostenerlo (qui il link: https://www.produzionidalbasso.com/project/w-la-fisica/ una piattaforma di appoggio dell'evento), un festival che non esiste da nessuna parte al mondo, tutto dedicato alla fisica e fatto solo da fisici o scienziati: tantissimi spettacoli, incontri, laboratori interattivi, interviste inedite”. 

Auser, tra le varie attività, promuove l’educazione permanente. La fisica potrebbe essere insegnata a persone in età matura e, se sì, quali argomenti suggerirebbe per cominciare?
Assolutamente sì, sempre e a qualsiasi età: a teatro vengono a trovarmi in camerino signore che mi raccontano di non aver mai letto alcuno degli argomenti trattati nello spettacolo e che hanno voglia di approfondire, è un modo di fare ricerca. Consiglierei di iniziare dalle vite degli scienziati o dalle domande più semplici: perché l’arcobaleno ha quei colori? L’ottica dà la spiegazione. Tutto è regolato da leggi fisiche, si può partire da dove si vuole, dalla domanda cui sembra più urgente dare una risposta”. 

A proposito di signore, lei a teatro ha celebrato due donne che sono simbolo non solo della scienza: Marie Curie ha lottato per la parità dei diritti, Hedy Lamarr si è scagliata contro pregiudizi e violenza di genere. Da giornalista attenta, vorrebbe fare una riflessione anche su questi due aspetti dato che il tema delle prevaricazioni sulle donne è ancora centrale nelle cronache?
La Curie e la Lamarr sono diverse perché hanno avuto un approccio diverso alla vita, altre donne sono compiacenti con il sistema consolidato o rassegnate a seguire nella maternità e nella cura della famiglia la propria unica possibilità di realizzazione. Marie Curie voleva cambiare le cose perché voleva farle lei, quelle cose proibite all’epoca: studiare, dedicarsi a ricerche che erano appannaggio maschile. Hedy Lamarr nacque nella Vienna borghese, le piacevano soltanto i beni materiali. Poi le cose cambiarono, fu come se una fosse diventata l’altra. Marie Curie provava vergogna delle sue malattie e si costruì una villa da favola per una sorta di compensazione, Hedy capì da anziana i valori veri della vita. Sono state loro a dirci com’è la condizione delle donne di oggi: si può essere se stesse e cercare di prendere il proprio trono da principesse regnando anche da single, senza scendere a compromessi e senza avere altra volontà se non quella di corrispondere alla propria natura. La Curie andava di scuola in scuola a insegnare alle ragazze a non soccombere al maschilismo e a non sottovalutare la carriera da scienziata. Noi donne moderne tante volte nemmeno sappiamo di combattere una battaglia, invece magari stiamo facendo una cosa enorme. Continuiamo sempre a farci domande, ci sono infinite possibilità per cambiare punto di vista”. 

> Sara Bordoni, Auser Lombardia